- Bruciare i miei caduti? Tramutarli in cenere? - Rudger osservò il pulviscolo grigio che vorticava sopra le fiamme. - Sicché è davvero questo che mi resta da fare?
- Viviamo una stagione oscura, dove la luce vacilla e a noi non è dato seppellire i nostri morti.
Tutto ciò che possiamo fare è consegnarli alle fiamme, di modo che le loro
spoglie possano essere consegnate a loro volta al vento. Cenere nel vento, e il
loro ricordo nel cuore.
- Eppure io non mi sono rassegnato. Vieni,
non ho finito di farti vedere.
Sostenuto dal servo e dal bastone, Rudger
lo portò oltre la cortina fumigante delle fosse incendiate. Attraversarono
un boschetto di salici ricoperti di cenere, costeggiarono uno stagno tappezzato
di ninfee, fino a raggiungere un vasto spiazzo all’ombra delle mura
nord-orientali. Delle aiole e delle siepi che l’avevano decorato non restavano
che tracce sporadiche. Un semicerchio di tozze costruzioni marmoree abbracciava
lo spiazzo. L’iconografia delle sculture e il senso delle epigrafi non
lasciavano dubbi in merito alla loro natura funeraria. Ma non erano i sepolcri
a catturare l’attenzione.
L’area erbosa dinanzi ai marmi scintillava
del riflesso di decine e decine di lame d’acciaio. Spade, per la maggior parte,
conficcate con la punta nell’erba. C’erano anche altre armi: scuri, azze,
picche, alabarde. Ma le spade predominavano, di ogni tipo e dimensione. Dalle
daghe a lama corta agli stocchi, dalle bastarde a una mano e mezza alle temibili
flamberghe da fanteria pesante. Alcune avevano un elmo posato sull’impugnatura,
altre uno scudo appeso all’elsa, altre ancora una cintura o un lembo di livrea
annodati alla lama. Una piccola, eterogenea foresta di metallo cresciuta in un
angolo di quella città disgraziata.
- Quelli sono i sepolcri dei Margravi che
hanno scelto di farsi seppellire a Genes. E questo invece, - la voce di Rudger
si tramutò in un sospiro - è il nostro omaggio ai compagni caduti. Non possiamo
seppellire le loro spoglie nel rispetto delle nostre tradizioni, così piantiamo
le loro armi nella terra che rifiuta di accoglierli. Tumuli d’acciaio innalzati
in loro memoria. Noi lo chiamiamo il Campo di Spade.
Egli osservò le armi tramutate in
lapidi, il riverbero blando della prima luce sulle lame affilate. Su alcune
erano ancora intuibili le tracce dell’ultimo sangue spillato. Altre erano
opacizzate dal velo di cenere trasportato dalle pire funebri. - Hai riconosciuto
una legittima ricompensa a chi ha combattuto al tuo servizio.
- Ricompensa? Le ricompense valgono per i
vivi. Ho voluto solo commemorarli come si conviene a dei guerrieri. La loro
polvere si disperderà pure nel vento, ma meritavano il loro cimitero. - Rudger
chinò il capo e per un po’ sembrò assorbito in contemplazione del Campo di
Spade. - Tu che vieni alla mia porta, - si decise quindi a dire, - e che sembri
conoscere il vero volto di quest’incubo, rispondimi: oltre a bruciare i caduti
e piantare le loro spade, possiamo ancora combattere? Non solo per difenderci
in attesa della fine, voglio dire, ma per provare a vincere.
- Io sono qui per questo. - gli rispose laconico."
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