sabato 8 dicembre 2018

Nascita di una copertina (e tre...)

Prendo spunto dal recente post dedicato da Mario Labieni agli anni di collaborazione spesi a illustrare l'immaginario delle mie saghe, per condividere alcune delle bozze che hanno portato alla definizione della copertina de "L'Eclissi dei Tempi".

Di tutte le illustrazioni realizzate da Mario, questa è senz'altro quella che ha attraversato più fasi intermedie, tra le quali riporto soltanto le più significative. Fin dal principio (e a differenza per esempio della precedente), ho dovuto discriminare fra diversi concept che avevo in mente. Una volta deciso per il panorama della città (Amor) affacciata sul mare, dominata dall'apocalittica eclissi in procinto di compiersi, ho lavorato strettamente con Mario nella definizione di elementi e tonalità, sfumature e dettagli. Convergendo sul risultato definitivo con l'abituale sintonia che ci ha caratterizzato sin dai primi lavori.

Spero piaccia ai lettori almeno quanto è piaciuta a me.






martedì 27 novembre 2018

Dal blu della notte, al blu dell'eclissi

Dietro la penna di ogni romanzo, si può trovare il pennello dell'artista dedicato a realizzarne gli aspetti grafici. Copertina, senz'altro... illustrazioni, personaggi e scenari, ove presenti... Fuori e dentro le pagine delle mie due trilogie si trova quello di Mario Labieni, che di recente ha deciso di dedicare al suo lavoro le belle parole che riporto qui sotto, al compimento di un cammino partito da lontano anche per lui...

"Era il 2007 quando Marco Davide, ingegnere scrittore, mi chiese di dare forma ai suoi personaggi, di realizzare quindi tutto il contest grafico di un magnifico mondo generato dalla sua sconfinata passione per il fantasy ed una sapiente e meticolosa tecnica di racconto.
Nasceva il volto di Lothar Basler, dei suoi compagni e dei loro costumi, dei loro luoghi.
Nasceva un sodalizio tra scrittore ed illustratore ancora oggi vivo e fiero, consacrato dalla comune passione per l’immaginazione.
Un percorso lungo e articolato partito con la casa editrice Armando Curcio e proseguito poi nell’universo degli e-book Delos.
Personaggi, atmosfere e mappe oggi piccole icone di genere, sono il risultato di un confronto che in anni e sei volumi è divenuto visione comune tra narratore e disegnatore.
Da pochi giorni è stata presentata l’ultima opera di Marco, L’Eclissi dei Tempi, il terzo ed ultimo della seconda trilogia chiamata dell’Estraneo.
Un lavoro non meno difficoltoso e lungo dei precedenti in cui ogni piccolo elemento è stato come sempre discusso a fondo prima di essere collocato e presentato, nel rispetto della visione di chi lo ha immaginato, accarezzato dalle mani di chi ne ha curato l’aspetto e preservato il valore.
Ciò che è nato dal blu della notte illuminato dal riflesso di una fredda katana, nel blu finisce, attratto nella falce di un’eclissi devastante.
Si conclude una lunga storia affidata alla carta e alla memoria, si completa la rete di personaggi che amando, soffrendo, scalpitando e combattendo tra le pagine ed i capitoli di queste trilogie, hanno dato a questi anni un valore personale magnifico.
Buona fortuna Marco
Buona fortuna Lothar."


venerdì 16 novembre 2018

Sognava ancora la bambina dai capelli d'argento...

"Sognava ancora la bambina dai capelli d’argento.

Benché il presagio di Fuoco fosse trascorso, testimoniando la sua caduta e la sua riscossa, portando con sé la consapevolezza e soprattutto l’accettazione di quel che il sogno significava, egli aveva continuato a vederla. Non s’assopiva spesso, la condizione di Shûn lo esonerava da una gran parte delle esigenze fisiologiche dei comuni esseri umani. Mangiare, bere, dormire: cedeva occasionalmente ai bisogni, senza mai capire dove arrivasse la reale necessità e dove cominciasse il riflesso condizionato dal suo desiderio di sentirsi ancora umano.

In alcuni di quei casi, egli aveva incontrato la bambina nei suoi sogni. Lei lo fissava con gli occhi finalmente aperti, quegli occhi che raccontavano tutta la verità che c’era da sapere, fra le ciocche splendenti che gli ricordavano la neve. E nel momento in cui egli apriva i suoi di occhi, ridestandosi dal sopore, la scorgeva ancora per qualche istante, davanti a sé, nella transizione effimera fra lo scenario onirico e quello reale.

Cos’è che vuoi farmi sapere ancora? Hai un messaggio ancora per me? Ha a che fare con il presagio d’Acqua, prossimo venturo?

Scrutò i flutti lambiti dallo scafo, quasi potessero schiudersi a comando e rivelargli la forma fluida del futuro che l’aspettava.

– A cos’è che pensi? Agli orrori che ci siamo lasciati alle spalle o a quelli verso i quali ci conduci?

Con la coda dell’occhio, vide Eusebio che si affacciava al basso parapetto del battello, a un passo da lui. Immerso nelle proprie meditazioni, quasi non lo aveva sentito avvicinarsi. Quasi.

– Al presagio d’Acqua. – rispose. Come calice di tormalina versato. – Alla veste in cui comparirà. O alla maschera dietro cui si nasconderà.

– Toccherà a qualcuno di noi, vero? – Eusebio tradì tensione nel suo accento straniero. – I Sacrificati. È toccato a Lestat, per primo, e poi a me. Chi sarà il prossimo?

Egli lo osservò in tralice. Di profilo, il naso schiacciato dell’ex-gladiatore era una prosecuzione verticale della fronte spaziosa. Gli occhi celesti catturavano il riflesso della luce quanto le acque su cui erano posati. La bocca era una ferita sottile, perpendicolare alla cicatrice sulla mascella squadrata. 

– Non lo so. –  Dopo un attimo: – Cos’è che ti turba?

Eusebio roteò gli occhi pallidi su di lui. – Mi hai spinto ad accettare questa storia e il posto che mi obbliga a occupare. L’ho fatto, rinnegando tutti i precetti che credevo incrollabili. Ma vorrei saperne di più. Come Sacrificato, ho adempiuto il mio dovere secondo i versi della profezia. Ti ho tirato via dalle grinfie di quel demone puttana, la Vedova Nera. Dico bene?

– Hai compartecipato al presagio di Fuoco, come annunciato dall’Oracolo. E mi hai permesso di percorrere un passo fondamentale nella direzione della meta.

– E adesso? – sbottò il chierico. – Quale altro compito mi spetta? Hai gli altri tuoi Sacrificati per adempiere la profezia.

– Il nostro compito sarà concluso solo al termine del viaggio. Il mio e il vostro.

– Come?

– Hai seguito il tuo vecchio maestro senza fare domande. Ora ti chiedo di avere fiducia in me.

Eusebio rise amaro. – Il precedente non ha avuto un esito felice. – Si portò una mano al collo, dove un tempo aveva indossato la croce a otto braccia della Chiesa di Caeres. Deformata dal fuoco stregato con cui Sebastian Arelano aveva cercato di ucciderlo a Château Montreuil, il pendaglio era finito nell’occhio della Vedova Nera quando Eusebio si era difeso dall’attacco del vampiro. – Ho perso il simbolo conferitomi dal mio vecchio maestro e ho gettato alle fiamme quello che gli ho strappato di mano prima di distruggerlo.

Egli si voltò a fronteggiarlo. Gli posò una mano sulla spalla; il chierico non riuscì a trattenere un brivido. – Non ho simboli da affibbiarti, Eusebio. Ti chiedo fiducia e ti ricordo che, da quando ho cominciato a farlo, io non l’ho mai tradita. Non ti ho mai mentito e non ho intenzione di farlo. Le verità che tengo per me sono il frutto di una scelta ponderata, di un cammino che ha un disperato bisogno dei suoi passi, uno per volta. Hai seguito il tuo vecchio maestro senza remore,–  ripeté, – ora fallo con me.

– Ho seguito il Priore per amore della mia fede. –  disse lui in un sussurro.

– Te l’ho già detto a Irstrak, Eusebio: non rinunciare alla tua fede in questo viaggio. – le labbra dell'Estraneo s’incurvarono in un mezzo sorriso. – Ne avrai bisogno ancora, prima della fine."

domenica 28 ottobre 2018

Non è durato molto, ma hanno visto abbastanza...

"A Mutio sovviene subito Aboriskô.

Il villaggio fantasma immerso nella foschia, così come si era mostrato una volta che l’illusione era caduta. Nebbia, ruderi e dannati. Stringe la mano di Mikael fino a fargli male; suo figlio non caccia un lamento, forse non c’è spazio nella sua gola contratta. Segue l'Estraneo con gli altri, gettando occhiate nervose a tutto quanto li circonda. Coglie lo spettro degli abitanti di Alavar, ben più numerosi dei pochi rimasti nella dimensione originale. In alcune zone la nebbia si condensa talmente da renderli spettri loro stessi, chiazze vaghe fra vicoli. In altre quasi si dissipa, abbassando il velo sulle fattezze grottesche del borgo. Mutio osserva le figure contorte che si trascinano fra le case, ascolta le loro voci che viaggiano nella bruma, mischiate a strida di cui preferisce non immaginare l’origine. Intorno a loro, architetture ritorte incombono. Archi deformi e scalinate insensate s’alternano a passaggi vertiginosi che conducono nel vuoto. Rostri di metallo rugginoso trafiggono pareti imbrattate d’umidità fluorescente, grondaie cadenti stillano fluidi putridi.

Nessuno si avvicina al punto di sbarrargli la strada, mercante, accattone o puttana che sia. Forse non ne hanno neppure il tempo dal momento che, malgrado nella sua mente tutto sembri durare un secolo, Mutio si ritrova presto a fissare l’acciottolato sconnesso della via principale di Alavar. La vera Alavar, se la verità ha ancora un senso. Libera dall’ombra, invasa di miseria.

– Cosa? – chiede qualcuno alle spalle di Mutio. Forse Axel, non ricorda.

– Mondo e Inframondo, sovrapposti nel Limbo. – risponde l'Estraneo. – Infettati dall’Entropia.

Raggiungono il porto, frastornati. È questo il motivo per cui hanno fatto tappa ad Alavar. Sperano di trovare un’imbarcazione adatta a trasportarli lungo il fiume. Cercano per i moli e per la darsena. Infine la trovano. Sono tutti ansiosi di mollare gli ormeggi e lasciare il borgo.

Ad Alavar non è durato molto, ma hanno visto abbastanza."



giovedì 11 ottobre 2018

10 passi verso l'Eclissi...

...da percorrere insieme a chi ha la curiosità di sapere cosa si nasconde sotto il sentiero.
  1. La prima stesura de "L'Eclissi dei Tempi" risale al periodo settembre 2008 - luglio 2009, ovvero è trascorso un decennio da quando ho raccontato (innanzitutto al sottoscritto) per la prima volta la sua storia;
  2. Il romanzo porta a conclusione la 'Trilogia dell'Estraneo', fornendo risposte a tutte quante le domande ancora irrisolte, chiudendo il cerchio di una trama che, come più volte ribadito, affonda le radici nella precedente 'Trilogia di Lothar Basler';
  3. In linea con i predecessori, il volume è diviso in due parti ('Il Giglio Tradito' e 'Là Dove la Luce Infine Si Spegne'), anticipate da una prefazione ('I Vivi e i Morti') e - caso questo in comune soltanto con "Figli di Tenebra" - seguite  da una posfazione ('Come Spiriti al Tramonto');
  4. Le vicende qui raccontate condividono nella prima parte la natura 'on-the-road' de "La Stagione delle Ceneri", trasferendosi in seguito in un contesto prettamente cittadino (benché non sempre... convenzionale);
  5. Il carattere gotico che permea l'intera saga cederà sempre più alla sua vocazione orrorifica, alternando gli scenari cupi di un mondo oscurato dal Crepuscolo a quelli surreali del medesimo mondo sprofondato nella dimensione degenere del Limbo;
  6. Battaglie sempre più cruente faranno da sfondo al viaggio dell'Estraneo e dei suoi Sacrificati. Il bastione armato innalzato dai Principati ai confini della penisola di Altea tremerà sotto l'attacco di legioni pervertite dal Crepuscolo;
  7. Tenebra fitta e luce per contrasto vivida, seppur assediata dalle ombre dell'Eclissi imminente;
  8. Tra di esse sussiste l'Estraneo, abbracciato e al tempo stesso ripudiato da entrambe. Sarà negli occhi d'argento della bambina dei suoi sogni che scoprirà la terribile verità sul suo ruolo di profeta di sciagura; 
  9. La memoria costituirà il tema portante della storia, assumendo un ruolo cardine alle soglie dell'Eclissi;
  10. E infine un Luogo primevo. come un altare, al cui cospetto nessun sacrificio potrà essere rifiutato.
Il resto è la strada che conduce al confine dell'ultimo tramonto, là dove la luce infine si spegne.


martedì 18 settembre 2018

L'Eclissi che assurge

Come recentemente annunciato, esce in data odierna "L'Eclissi dei Tempi", volume terzo ed ultimo della "Trilogia dell'Estraneo", edito da Delos Digital.

Avremo senz'altro modo di parlarne; oggi provo a trasmettervi un'eco della soddisfazione che provo nel guardarmi indietro attraverso gli anni a contemplare il lungo sentiero percorso a fianco di così tanti personaggi per così tante tappe. Percorso da me, per primo, e da voi che avete avuto la pazienza di spingervi fino a quest'ultimo tratto, in vista della radura finale. Grazie per il vostro tempo e la vostra fiducia. Spero di poter ripagare entrambi con l'epilogo della storia.

Il Crepuscolo s'infittisce, i presagi annunciano ormai l'Eclissi. L'Estraneo chiama a sé i Sacrificati per l'ultima disperata battaglia.

Sul confine dell'ultimo tramonto, là dove la luce infine si spegne.


martedì 11 settembre 2018

L'Eclissi dei Tempi

Alla fine, infine.

Dopo il Crepuscolo e le Ceneri, sono qui ad annunciarvi l'uscita del volume terzo ed ultimo della 'Trilogia dell'Estraneo' in data 18/09/18 (fra una settimana esatta).

Il suo titolo sarà 'L'Eclissi dei Tempi', epilogo di una storia partita da molto, molto lontano. Alle sue pagine ho affidato il compito di chiudere in maniera degna il cerchio, offrendo una risposta agli interrogativi ancora aperti al termine del volume precedente, mantenendo intatta la coerenza di un impianto narrativo strutturato attraverso ben sei romanzi nell'arco di due saghe.

Nell'attesa di approfondire gli aspetti del nuovo romanzo, condivido con voi l'illustrazione realizzata per la copertina, matite e colori ancora una volta attribuite a un compagno di lungo corso, Mario Labieni.

Quattro seggi per quattro prescelti, quattro altari per i Sacrificati.
Quattro presagi come sigilli, dischiusi a scandire le esequie del giorno.
Là dove ogni luce muore e l’Eclissi irreparabile assurge.


domenica 2 settembre 2018

Dove declina il Crepuscolo dei Tempi

- Quindi?

- Quindi è tempo di riprendere il viaggio.

- Per dove?

- Per il Cancello che non può essere schiuso, come recita la profezia.

- Di che luogo parli? Dove si trova questo cancello?

- Ad Amor, dove declina il Crepuscolo dei Tempi.

martedì 14 agosto 2018

Nova Aetas!

Ed eccola qua, la scatola appena arrivata di 'Nova Aetas', il tactical boardgame di ambientazione fantasy-rinascimentale ideato e realizzato dagli amici del Ludus Magnus Studio.

Appena arrivata e appena aperta, a svelare un contenuto ricco di componenti di altissima qualità, tra cui la magnifica trasposizione in miniatura e regole di Lothar Basler, riproposto per l'occasione nelle vesti di controversa figura in caccia di eretici per la soddisfazione di una misteriosa vendetta personale...







venerdì 27 luglio 2018

La Luna di Sangue

Stasera tutti col naso all'insù a contemplare la più lunga eclissi del secolo durante la quale la luna sfilerà abbigliata di rosso. Per celebrarla, riporto un estratto di come, in un'altra epoca e sotto un cielo diverso, una compagnia di viandanti accampata in una foresta visse la propria esperienza di eclissi sanguigna...

"Thorval fissava quasi ipnotizzato il demone partorito dalla notte.



Non udiva i lamenti disperati della donna alle sue spalle, né il marito che balbettava nel tentativo vano di tranquillizzarla. La sua attenzione era calamitata dall’innaturale sibilo prodotto dall’incubo che ciondolava davanti ai suoi occhi.

Sollevò la spada e si avvide che tremava nella stretta della mano sudata. Egli era un Nordico, discendente di una fiera razza di guerrieri. Pur essendo ancora relativamente giovane, aveva combattuto numerose battaglie tra le aspre colline delle sue terre e aveva più volte fronteggiato la morte, sconfiggendola con coraggio. Aveva visto uomini morire agonizzanti lottando al suo fianco, aveva fissato gli occhi di altri spegnersi sconfortati sotto i suoi colpi. Era stato testimone di interi villaggi devastati dalle bande di orchetti che tormentavano la sua patria: cadaveri straziati di donne e bambini ammucchiati tra le case bruciate, carcasse seviziate e mutilate per puro godimento da quella progenie crudele inchiodate agli stipiti delle porte, teste mozzate allineate sui muriccioli infestate dalle mosche e divorate dai ratti. Aveva visto e si era adeguato. Ma quella creatura sembrava essere emersa dai recessi dell’inferno per banchettare con le loro anime.

Era pronto ad accettare qualsiasi spettacolo la natura potesse offrirgli, ma quella blasfemia si muoveva e respirava contro ogni legge del mondo sensato.

Vide il nano attaccare a testa bassa, per essere abbattuto con un colpo tremendo. Vide Lothar accorrere in suo aiuto, per essere respinto senza affanno. Il gigante ammantato di nero indietreggiò disperato sotto l’assalto incalzante del mostro. Quindi si voltò per fuggire nella sua direzione insieme all’amico guercio dell’oste.

Intorpidito dall’orrore, Thorval lo osservò corrergli veloce incontro, distanziando Markus. La creatura si lanciò all’inseguimento. Si muoveva a balzi sulle massicce gambe rientranti. Con una rapidità sovrumana si stagliò sibilando alle spalle dell’uomo rimasto indietro e, con un movimento preciso della lama ossea, lo falciò all’altezza delle ginocchia.

Markus rovinò a terra con un grido straziato. Strisciò convulsamente sul ventre allungando una mano verso il pugnale caduto nell’erba.


Ma il demone non glielo permise.


Piombò sulla vittima prona, piantò gli artigli inferiori sulle sue gambe. Markus si contorse nel tentativo disperato di liberarsi del peso dell’essere mostruoso. Non aveva nessuna possibilità di farcela. La creatura brandì la lama sopra la testa. Gli enormi bulbi oculari rifulsero di un lucore malefico.


– Noooo!


Un urlo disarticolato emerse alle spalle di Thorval.


Mutio, la bocca spalancata all’inverosimile e gli occhi strabuzzati da un tormento quasi fisico. Senza cessare di strillare, l’Alteano si gettò in soccorso dell’amico caduto; ma la gamba ferita non gli avrebbe mai concesso la rapidità sufficiente per raggiungerlo in tempo.


Il demone affondò fulmineo: l’arto adunco penetrò con uno schiocco orribile nella schiena di Markus subito sotto la cervice. Una contrazione involontaria fece scattare le sue braccia e il capo, come una marionetta cui avessero tirato brutalmente i fili. Un bolo di sangue scuro gli sgorgò dalla bocca e dal naso.


Mutio si bloccò, raggelato da quella vista. Lothar lo raggiunse e, afferrandolo per un braccio, cercò di tirarlo verso il bordo della radura. Simone si accasciò, la spada scivolò dalle sue dita snervate.


Il demone tuttavia non aveva concluso: muovendo la lama su e giù, segò letteralmente la schiena di Markus finché ne raggiunse i reni.


Tramortito la scena, Thorval si accorse a malapena di Lothar che, cinto l’ammutolito Simone con un braccio, barcollava nella sua direzione. Erano appena giunti da lui allorché il demone, infilata la mano artigliata nel corpo sventrato di Markus, cominciò a grattare con un raschio disgustoso nella massa sanguinolenta all’interno dell’enorme squarcio. Infine, dopo aver smosso con violenza il cadavere, ne estrasse qualcosa con uno strattone.


La spina dorsale gocciolante della sua vittima, innalzata quale omaggio sacrificale alla luna di sangue.


Thorval sentì il sangue defluirgli dal volto. Simone gorgheggiò qualcosa dalla bocca che sembrava non dovesse richiudersi più. Il demone scagliò il macabro trofeo lontano.


Riprese a muoversi nella loro direzione.


Lo scintillio degli abnormi occhi giallastri riscosse il Nordico. Deglutì duro. Sollevò la spada nella speranza che la morte giungesse rapida. Un movimento alla sua destra però lo distrasse. Lothar si era inginocchiato sull’erba e, con le dita che gli tremavano per la fretta, cercava di sciogliere i lacci che tenevano insieme il lungo fagotto che portava sempre a tracolla. Con un vago moto di stupore, Thorval vide comparire tra le pieghe del telo la lunga impugnatura di una spada. Rifletté che forse Lothar aveva perso l’altra lama nel precedente scontro col demone; tornò a concentrarsi sull’incubo che avanzava. Ma di nuovo dovette voltarsi.


Lothar si alzò con un grido. Fiondandosi nella radura, tagliò verso destra. Il demone si arrestò: osservò la nera figura filare veloce lungo il margine degli alberi. Subito deviò il suo cammino per lanciarsi all’inseguimento. Nello stesso istante Lothar scartò repentino e caricò. Sfoderò l’arma lasciandone cadere il fodero di cuoio.


Una spada dalla lama sottile. A quella distanza, a Thorval parve nera.


Lothar attaccò sull’impeto della rincorsa, ma la bestia parò senza difficoltà i primi due fendenti, eludendo il terzo. Lothar arretrò incalzato dal contrassalto. Sembrava una scena già vista. Il mostro falciò e Lothar schivò. Quella del demone però era solo una finta: flettendo il braccio snodato in un movimento impossibile, colpì l’avversario con il taglio della mano sulla spalla ferita. Lothar cadde a terra urlando. Il demone si preparò a finirlo.


Ciò che successe in seguito, il cervello di Thorval faticò a metabolizzarlo.


Lothar si rimise in piedi evitando per un pelo gli artigli. Caricò il braccio dietro la spalla e vibrò il colpo contro il petto sguarnito della bestia. Un boato deflagrò all’impatto tra la lama cupa e la corazza del demone. Thorval credé di distinguere una breve fiammata blu avvampare nel momento in cui il corpo mostruoso fu scaraventato all’indietro. Lothar perse di nuovo l’equilibrio e piombò su un ginocchio. Intanto, il demone si rialzava stridendo di dolore. Filamenti di fumo si arricciavano dal suo petto. Si graffiava ossessivamente lo squarcio, senza smettere di lamentarsi.


Fu in procinto di attaccare di nuovo l’avversario a terra, quando una tozza figura spuntò alle sue spalle.


Rugni proruppe in un aspro grido di battaglia e schiantò l’ascia sul braccio sottile del mostro. La pesante lama tranciò l’arto a metà. Il demone indietreggiò sorpreso e fece schioccare la lingua nera nell’aria, nel tentativo di tenere a bada il nano. Ma Rugni non si sarebbe fatto abbattere di nuovo: fintando un affondo sul fianco, fece scoprire il demone al ventre.


Karaka penetrò nelle viscere della creatura, tra schizzi di icore ripugnante.


Il demone si piegò sull’addome e allora il nano, estratta con forza la lama dal corpo, le fece compiere un arco sulla testa, per piantarla dritta in uno dei grossi occhi giallastri. Il bulbo esplose come un melone maturo, l’ascia si fece strada tra le ossa del cranio.


Strepiti di angoscia insorsero tutto intorno. Infransero la litania che pervadeva la notte. Le fiaccole ondeggiarono tra gli alberi, tre figure vennero avanti berciando isteriche. Rugni liberò l’ascia dalla testa maciullata del demone e caricò il primo degli individui incappucciati che gli correva incontro: la lama lo abbatté in un colpo solo. Gli altri due, arrestato l’assalto, vacillarono incerti al confine della radura. Il nano gli ruggì addosso. Quelli fuggirono via. L’anello di fiaccole fu percorso da un brivido collettivo. Dapprima si spezzò, poi si dileguò rapidamente nella notte.


Thorval aveva assistito alle ultime scene quasi in catalessi, stordito dalla repentinità con cui si erano susseguite. Avanzò cauto all’interno della radura e scrutò la carcassa del demone che andava disfacendosi in filamenti di vapore, come se un fuoco stregato ne divorasse le carni immonde dall’interno. Lothar si rialzò da terra e ciondolò nella sua direzione. Il suo volto era sporco e smunto al bagliore della luna.


Il bagliore della…


Il giovane sollevò il viso al cielo e sentì il cuore riprendere a battergli nel petto: le stelle incorniciavano l’albumineo disco lunare, affrancate dal sortilegio emorragico.


Benedicendo i numi dei propri avi, chiuse gli occhi con un sospiro.


Un nuovo urlo angosciato lo fece trasalire: brandì d’istinto la spada e si trovò a fissare lo sguardo allucinato di Mutio. L’Alteano barcollava con le mani tremanti nei capelli; gli occhi erano sgranati e la bocca sussultava spasmodica.

– Helena… – balbettò. – Helena… L’hanno portata via, l’hanno portata via..."

                                                   (da La Lama del Dolore - Trilogia di Lothar Basler (vol.1))



venerdì 13 luglio 2018

La Vedova Nera

"Venne annunciata dal flauto fantasma, come i non-morti nella Conca degli Spiriti. Fedele alla promessa, venne al sorgere della luna, ruota incompiuta confitta nel cielo. Dodici cavalieri in armatura completa e tunica viola le fecero da scorta. Il tredicesimo era Caleb, l’araldo ragazzino. Scandì con il flauto la pigra avanzata del corteo. Quando si trovarono a poche decine di metri dalla Porta del Sale, i cavalieri serrarono una fila irta di lance alle spalle del loro condottiero. Uno di loro consegnò il vessillo col serpente bicefalo nelle mani di Caleb che aveva smesso di suonare. L'araldo si accostò un passo indietro alla sua signora.

La Vedova Nera, comandante della compagnia di ventura un tempo conosciuta come i Giannizzeri di Capo Gorgone, prima della venuta del Crepuscolo che l’aveva vincolata, nome e anima, all’Anarca Borea. Vestiva un’armatura di lucide scaglie nere che le aderiva al corpo come la pelle di un serpente, drappeggiata da un ampio mantello d’un viola cupo. La corazza rimarcava la forma snella delle braccia e delle gambe, si combinava ai lembi della maglia metallica sottostante, anch’essa nera. Il suo corpetto sagomato recava intarsiata in argento l’anfisbena nella sua posa inanellata. Scaglie nere, acciaio nero, cuoio nero dei guanti lunghi sino al gomito e degli alti stivali. Nero era anche l’elmo che le proteggeva la parte superiore del viso: una maschera di metallo lucido dotata di fessure oblique per gli occhi e di una cresta di lame sottilissime e affilate. Fedele al suo nome, la Vedova Nera pareva assorbire l’anima della notte per tramutarsi in ombra fitta tra le sue spire. Una sola eccezione spiccava in lei: la porzione inferiore del viso, lasciata nuda dall’elmo. Aveva la pelle candida e levigata di una scultura d’avorio, o forse la carne esangue di un cadavere.

La Vedova aveva chiesto di conferire con l'Estraneo al calare delle tenebre. Il misterioso condottiero che ordiva l’assedio senza comparire mai negli assalti ai bastioni. Egli ne aveva intuito sin da allora la ragione; quella che si trovava a contemplare adesso non era altro che la conferma dei suoi sospetti. Quella laggiù non era una donna mortale: era un Nosferatu.

L’Estraneo pastore di Sacrificati. - la voce della Vedova parve poco più di un sussurro, eppure giunse nitida alle orecchie di tutti coloro che assistevano al confronto. - Infine sei riuscito a sottrarmi il fanciullo, quando ormai ero pronta ad accoglierlo fra le mie braccia. - Emise un sospiro breve, che per un lungo istante rimase sospeso nella notte. - Malgrado tutto, sono compiaciuta d’incontrarti. La leggenda incarnata…

- Cosa vuoi? - Il suo tono fu di contro sferzante. - Risparmia i convenevoli e dì quanto hai da dire.

- Le tue maniere aspre sono fuori luogo. - le labbra carnose di lei s’incurvarono sotto il ciglio dell’elmo. - Non ti ho affatto insultato.

Egli sentì il disagio che si propagava negli uomini attorno a sé. Tintinnare di corazze e armi, mentre si agitavano sul posto. Era la voce della donna a produrre quell’effetto. Un sussurro solo all’apparenza soffice, il belletto di una malia velenosa capace d’insinuarsi sotto la pelle di chi l’udiva. - Guidi l’esercito che ci assedia. - ribatté gelido. - Smonta le tue tende e vattene, se vuoi ricevere maggiore cortesia. Altrimenti resta e combatti. - Sputò oltre il parapetto. - Cagna demonica.

Le spalle della Vedova Nera sussultarono sotto la corazza lucida. - Cos’è quella che sento nelle tue parole, Estraneo? Incertezza? - Egli assottigliò occhi e labbra. La voce melliflua del vampiro sembrò carezzargli la pelle. Qualcosa reagì dentro di lui. Un brulichio subdolo, dietro la fronte. - Forse che l’Oracolo non ti ha parlato di me? - proseguì lei. - E’ questo che ti fa esitare? L’assenza d’ogni menzione fra le strofe della sua canzone?

- L’Oracolo ha trascurato un’infinità di particolari, - le sue labbra di s’arricciarono maligne, - insignificanti.

La Vedova fece avanzare un poco la sua cavalcatura, un purosangue dal manto nero come l’inchiostro, snello e ricoperto da una gualdrappa scura. Un destriero non più ordinario della donna che portava in arcione, pensò lui, non più normale probabilmente dei cavalieri che la accompagnavano. Gli animali mal tolleravano la vicinanza dei morti risorti. La Vedova era uno di loro e i suoi soldati, come minimo, erano impestati dalla lebbra del Crepuscolo.

- Immaginavo che saresti venuto a Genes a prenderti l’ultimo Sacrificato.

- Saperlo non ti è bastato a impedirmelo.

Stavolta le sue spalle si strinsero. - Un inconveniente relativo. Ti è mai venuto in mente ch’io possa essere soddisfatta, in conclusione, di avervi tutti concentrati, lo Shûn e i Sacrificati, tra le mura di una città accerchiata dal mio esercito? - Sorrise di nuovo, stavolta mettendo in mostra il profilo ricurvo dei canini. - Nelle mie mani.

Il formicolio del sigillo s’acuiva a ogni sillaba che lei pronunciava. Egli non tradì alcuna emozione. - Quando sono sbarcato in Altea, ho sentito parlare della tua compagnia d’arme. Una brigata decennale, decorata dalle cicatrici di molte battaglie, combattute per conto di chiunque ne avesse comprato la fedeltà. Pensavo fosse un uomo a comandarla. Le uniche donne che i mercenari sono soliti portarsi dietro sono le loro puttane.

La Vedova Nera non sembrò risentirsi dell’insulto; ridacchiò anzi divertita. - Le loro puttane o le loro donne. Che poi spesso sono la stessa cosa, convengo. Non il mio caso, tuttavia. Io sono entrata nei Giannizzeri con la spada in pugno, mi sono guadagnata la mia paga insieme a tutti gli altri. Ho condiviso il letto del Macellaio di Boudan, certo, colui che l’ha guidata per tre lustri a combattere per la penisola e oltre, sulle sponde straniere del Mare Azzurro. In quel letto in seguito è morto, allorché il momento di scegliere è venuto ed egli ha esitato. - Implicò con un sogghigno i retroscena della vicenda, le analogie crudeli con il suo nome. - Quando l’Anarca chiama, nessuna titubanza è perdonata.

- Hai ereditato la tradizione dei Giannizzeri, - le parole dell'Estraneo riecheggiavano nella notte, quasi le tenebre si fossero fatte pietra capace di restituirne il suono, - e la loro superbia. Forse il tuo Macellaio ha compreso l’ineluttabile condanna offerta dall’Anarca. Avresti dovuto ascoltarlo, invece di tradirlo. Saresti ancora la sua puttana, e avresti avuto salva la tua anima.

Stavolta la risata della Vedova risuonò chioccia e mordace. - Ero una mercenaria destinata a morire nel sangue di una battaglia. Stuprata e seviziata dal nemico che un giorno, prima o dopo, m’avrebbe sconfitto. Ora marcio alla conquista di città. Ora sono potente, ora sono immortale.

- Tu e la tua compagnia, - egli comprese i cavalieri schierati con un gesto del braccio, - stavolta avete pagato un prezzo di gran lunga superiore a quello che v’illudete d’incassare. Borea vi ha condannato per pochi spiccioli, e molto presto ve ne renderete conto.

- L’Anarca m’ha elevato al rango sommo dei suoi seguaci. - sibilò lei con un sorriso feroce. - E i miei uomini conducono l’avanguardia delle sue legioni.

- Il Bacio di Tenebra è una condanna, non una ricompensa. - Per un attimo egli si domandò se fosse compassione quella che provava per quei soldati ai piedi del portale. No, si rese conto, era solo disprezzo. Avevano compiuto la loro libera scelta e di quella, volenti o nolenti, si sarebbero assunti le conseguenze. - Cosa sei venuta a fare qui? A raccontarmi la tua inutile storia?

Gli occhi acuti dell'Estraneo intuirono lo sguardo della donna che ammiccava tra le fessure dell’elmo. - Avevo intenzione di trattare la resa della vostra misera città.

- A quali condizioni?

Lei scosse piano la testa. - Nessuna. - Egli sentì i mormorii alterati dei soldati sui bastioni. Il comandante Thiele biascicò un insulto e una minaccia all’indirizzo del nemico che li irrideva. - Potrei concedervi di abbandonare le case, di ritirarvi verso le montagne. Le valicheremo comunque presto, anticipati dal Crepuscolo che già diffonde fra i valichi. - Sorrise beffarda. - Non ho alcun bisogno d’ingannarvi, anche se ammetto che sarebbe divertente vedervi scappare come una sciame di topi.

- E allora? La resa incondizionata non è un’alternativa, e tu lo sai. Cosa sei venuta davvero a fare?

- A conoscerti, - scandì languida, inarcandosi lievemente sulla sella, - sono venuta a conoscerti. Presto le mura cadranno e noi verremo dentro a prendere anche voi. I Sacrificati annunciati dall’Oracolo e tu, lo Shûn incaricato dell’ingrato compito di guidarli alla mattanza.

Il formicolio del sigillo lo costrinse  a inghiottire una smorfia. - Credi veramente che io possa avere paura di te? - le domandò con freddezza. - Come puoi illuderti che un semplice luogotenente fresco del marchio della dannazione possa spaventare lo Shûn?

La Vedova Nera diede un colpo di sprone e fece avvicinare la cavalcatura fin sotto le mura. A quella distanza, sarebbe stato semplice sommergerla di frecce. Tutti però assistevano come stregati alla spavalderia del comandante nemico che non si preoccupava di giungere a sfidarli tanto da vicino. Nell'attimo in cui si fermò, un sorriso malizioso sorse sulle sue labbra livide. - Sei certo, proprio certo, in fondo al tuo cuore, di essere ancora in grado di attingere, tu spettro oscuro, all'anima necessaria a sconfiggere il tuo avversario? Quale combustibile hai da offrire tu, che sei diventato l’Estraneo fra i mondi? - Si sfiorò la fronte con le dita guantate, con deliberata eloquenza.

Per un attimo, egli non ebbe fiato per replicare. Peggio ancora, si accorse dell’effetto deleterio che le provocazioni instillavano nello spirito di quelli che osservavano. La Vedova Nera lo pungolava dalla sua posizione di chiaro vantaggio, ed aveva tutte le ragioni per farlo. D’improvviso, si riebbe e comprese quale era l’unica strada da percorrere. Se l’intenzione di lei era svilirlo sotto gli occhi dei due schieramenti, lui le avrebbe ritorto la mossa attorno alla gola.

Mise un piede sul parapetto e si sollevò fra i merli mutilati della Porta del Sale. Il vento gonfiò il mantello nero sulle sue spalle. - Se in me non c'è altro che uno spettro oscuro, inadeguato a fronteggiare persino il più acerbo dei sudditi del nemico, risparmiati la fatica di venirmi a cercare tra le strade della città quando le mura saranno cadute. Preparati a combattere dinanzi a questo portale. Io verrò fuori pronto alla sfida. Nessun bastione, nessun reggimento. Solo io e te, le nostre sorti in un’unica battaglia.

Gli parve che la Vedova sgranasse gli occhi dietro l’elmo, colta alla sprovvista dalla proposta. Di colpo, si trovava a poter scegliere di giocarsi la scommessa più ardita. Tutto o niente, la testa del principale di tutti i nemici contro la propria. La sua eventuale caduta forse non avrebbe arrestato l’assedio, ma avrebbe mozzato il capo agli assedianti, concedendo ai difensori una possibilità concreta di sopravvivere. Lei sapeva di avere molto da perdere. Teneva Genes in pugno, non mentiva nell’annunciarne la prossima capitolazione. Ma egli l’aveva sfidata di fronte ai suoi uomini, l’aveva invitata a mostrare coraggio nell’azzardo più audace. Provava a far leva sul suo orgoglio marziale e, soprattutto, sulla sua ambizione. Una donna pronta a rinnegare il proprio uomo e ad accettare il Bacio di Tenebra doveva esserne divorata fino al midollo. C’era solo da sperare che bastasse a soverchiare il suo senso della prudenza…

La Vedova Nera gettò il capo all’indietro e affidò alla notte la sua risata colma di spregio ed esaltazione. La cresta dell’elmo catturò il riflesso della luna, le lame sembrarono animarsi di vita propria. Quando si raddrizzò, i suoi occhi scintillavano sanguigni dietro la celata. Egli vi lesse appagamento, quasi le avesse offerto il più abbordabile dei premi, non solo il più appetibile. - E sia, Estraneo. - ringhiò famelica. - Gratificherò la tua audacia con la mia presenza. Quando la luna raggiungerà il culmine, vieni giù da quelle mura. Mi troverai pronta al duello. Io e te solamente. Sono d’altronde certa che vorrai concedermi un’arena leale. Al di fuori dalla gittata dei tuoi arcieri, al minimo. Distante a sufficienza dalle mie truppe, per corrispondenza. Porterò con me una piccola guardia allo scopo di tutelare la sfida da ogni raggiro. Sei libero di fare lo stesso, se ci tieni.

Il dubbio si torse viscido nella sua gola. Cos’era l’emozione che trasfigurava il volto cereo della donna? Soddisfazione selvaggia, eccessiva. Pensava davvero di poter tenere testa allo Shûn? L’arroganza la rendeva folle a tal punto? Egli non si fidava. Borea non poteva avere messo le sue armate nelle mani di una squilibrata. E allora? Meditò sui versi criptici dell’Oracolo, su quel che non citavano, su quel che nascondevano. Ripensò all’enigmatica bambina dei sogni, ai suoi capelli luminosi. Il sigillo bruciava sulla sua fronte, tetra avvisaglia di tempesta. Il Presagio di Fuoco palpitava occultato dal sudario del futuro prossimo, pronto a essere rivelato. In quel luogo, fra le mura o attorno ad esse.

- Io e te solamente. - approvò. Nel farlo, raccolse i dubbi in una fascina e li arse al fuoco nero del disprezzo e della risoluzione.

                                                   (da La Stagione delle Ceneri - Trilogia dell'Estraneo (vol.2))

    


sabato 9 giugno 2018

E per la prima voltà sognò la bambina...

"Quella era una delle circostanze in cui il sonno si faceva sentire ed egli in cuor suo ne era lieto. Si appisolò, raccolto nella coperta. E per la prima volta sognò la bambina.

Sola, assediata da un mare di tenebra, il piccolo viso incorniciato da una cascata di capelli chiari. Aveva gli occhi chiusi eppure egli era certo che lei potesse vederlo, attraverso le palpebre e l’oscurità.

Si svegliò con un sussulto. Sopra di lui, la luna quasi piena sfiorata da lembi di nuvole. Intorno, il campo immerso nel silenzio. Gli era sembrato di avere chiuso gli occhi per pochi istanti, ma non era così. Scorse il profilo di quelli che montavano la guardia attorno al fuoco.

Si alzò in piedi, d’un tratto attanagliato dalla tensione. Qualcosa si agitò dentro di lui, smovendo il fondo torbido dell’animo. Il sigillo sulla fronte formicolò, sottoposto a una lieve pressione interiore. Un istante dopo la notte fu percorsa da una melodia fantasma, leggera come un brivido sulla pelle.

Era il suono di un flauto. Una musica tenue, malinconica. Proveniva dalla tenebra addensata oltre il perimetro meridionale del presidio, dove le pendici serravano il valico in una morsa angusta. Scandagliò l’oscurità con gli occhi ridotti a fessure. Il musicante era nascosto là fuori, da qualche parte, senza che lui riuscisse a individuarlo. Il vento spandeva ovunque l’armonia, rendendo difficile localizzarne la sorgente.

- Che succede? - Una voce sollecita dietro di lui. - Sveglio gli altri?

La musica cessò all’improvviso, così com’era cominciata. Un attimo prima il suono del flauto si svolgeva fluido; quello successivo si spegneva nel gemito del vento.

- Che succede?

- Più niente. Se ne sono andati.

- Chi?

Egli ripensò alla bambina dai capelli chiari e si sentì confuso. Non era stato un sogno qualsiasi, quello. Era apparso piuttosto come una visione. Il presagio di Aria si era rivelato, adesso toccava a quello di Fuoco. Lo specchio nudo di riflesso e la voluttuosa sconfitta. Lo spirito lacero in cerca di vendetta. Le parole dell’Oracolo dovevano ancora svelare gran parte del proprio significato. Il sigillo pulsava sulla sua fronte, cupa avvisaglia di tempesta. Le tenebre erano ammutolite, eccezion fatta per il vento. Per quella volta, la notte sarebbe rimasta quieta.

- I servitori del Crepuscolo. Vengono a dirci che sanno del nostro arrivo.

I compagni di guardia si raccolsero attorno a lui, nel cerchio prodotto dal bagliore del fuoco. Egli era cosciente del senso di gelo che in quel momento irradiava, solo in parte stemperato dalla vicinanza della fiamme. Era la proiezione dell’ombra che lo possedeva, emanata attraverso le crepe del sigillo. 

Nonostante ciò, tutti si strinsero a lui, lo Shûn, il baluardo verso il Crepuscolo.

Fuori, nella notte, qualcuno li spiava."

                                                   (da La Stagione delle Ceneri - Trilogia dell'Estraneo (vol.2))




lunedì 30 aprile 2018

Quindi attacchi, e nell'attaccare ti difendi...

- Tieni la mano morbida prima del colpo. - spiegò Eusebio. - Fai conto di stringere un batuffolo di bambagia con uno spillo dentro. Se stringi forte, lo spillo ti si pianta nel palmo. Quando porti il pugno, invece, dimenticatene e serra le dita, altrimenti te le rompi.

Il Rosso aprì e chiuse le mani, cercando di figurarsi la bambagia e lo spillo. Le metafore dell’ex-gladiatore erano tanto semplici da comprendere quanto difficili da mettere in pratica. Alzò la guardia davanti al viso. Trasse un lungo respiro, prima di andare all’attacco.

- Fai attenzione, - Eusebio parò la sequenza di pugni con disarmante scioltezza, - vedo che vieni avanti prima di avere formato il pugno. E’ sbagliato. E’ il pugno che deve trascinarti dietro, non viceversa. E stai attento, - penetrò con una manovra fluida la guardia di Uldrich per afferrarlo alla gola, - alla testa.

Il Rosso venne spinto all’indietro. Quelle lezioni cominciavano a farsi irritanti. Se l’era cavata per anni a darle e a prenderle. Nei bassifondi di Lum, in galera… Sapeva picchiare duro e sapeva picchiare sporco. Invece quel brutto ceffo di chierico lo faceva sentire più indifeso di una damigella. Gli riempiva la testa di nozioni astruse. Pensa a questo, pensa a quello. Doveva pensare a un mucchio di cose, spesso in contrasto con quello che il suo istinto lo spingeva a fare. Ogni volta se ne dimenticava qualcuna. Quando tutto s’incastrava alla perfezione, tuttavia, la validità delle tecniche insegnategli da Eusebio risultava lampante. - Non ti va mai bene niente, prete! - lo accusò.

- Non combatti così male, ma ti fai trasportare dall’impeto. - Eusebio si schiacciò un dito sul naso camuso. - Avevo un istruttore che lo chiamava ‘attaccare col naso’. M’ha insegnato a smetterla a forza di rompermelo.

- Non eri un granché nemmeno prima, scommetto. - lo schernì il Rosso.

Eusebio non raccolse la provocazione. - Devi pensare alla tua testa come a un vaso di coccio. Devi tenerla dietro. Se rompono il vaso, per te è finita. Mi hai capito?

- Ho capito, ho capito… - Il Rosso si asciugò la fronte sudata con l’avambraccio. Il sole batteva torrido sulla piazza. Per quanto si fosse sfilato la giubba e avesse arrotolato le maniche della camicia, in pochi minuti l’addestramento si era tramutato in un bagno di sudore. Eusebio, manco a dirlo, tradiva appena un lieve rossore delle guance e, più accentuato, delle orecchie prominenti. Il Rosso guardò con invidia alla piccola platea raccolta all’ombra del porticato che li circondava. Qualche soldato in raro turno di smonta, cittadini sparuti, un cane. Tutti in cerca di una scusa per distrarsi un poco da quel brutto guaio.

- Riprendiamo. - Eusebio richiamò l’attenzione di Uldrich in tono brusco. - Avvicinati, che voglio mostrarti una cosa. - Il Rosso zoppicò fino al punto indicatogli dal chierico. - Ti trovi a distanza lunga dal tuo avversario, può raggiungerti solo con un calcio. Come ti difendi?

Il Rosso sollevò le spalle. - Provo a schivarlo con un passo indietro. O a pararlo.

- Porta il calcio. - lo invitò Eusebio secco.

Uldrich lo scrutò guardingo. Che altro trucco aveva in serbo? Fece perno sulla gamba sana e menò con quella zoppa: una delle sue mosse sgraziate, che tanti nemici aveva colto di sorpresa. Non Eusebio. Anziché difendersi, lui venne avanti. Il Rosso fece a malapena in tempo a sollevare il ginocchio che l’altro gli era già addosso. Impedì alla gamba di distendersi e mimò una serie di pugni e gomitate alla testa e alla gola. Uldrich incespicò all’indietro, Eusebio lo afferrò per impedirgli di cadere.

- Lo puoi parare, certo. Ma se sei aggressivo lo puoi prevenire. E se lo previeni, sarai sicuro di non essere colpito.

- Non dal calcio, - obiettò il Rosso, - ma magari da un altro colpo. Se mi vieni addosso, rischi di sbattere il grugno contro i miei pugni.

- Le labbra carnose di Eusebio di arricciarono. - Valida osservazione. - concesse. - Infatti vale la lezione di prima: testa indietro. Aggressività non vuol dire caricare alla rinfusa. E’ un modo per mettere l’avversario in difficoltà, persino quando ci si difende.

- Quando ci si difende?  - il Rosso stava perdendo il filo del discorso.

- Già. Pensa sempre alla tua difesa nella prospettiva dell’offesa.

Il Rosso allargò le braccia, esasperato. - Se mi difendo, mi difendo. Abbi pazienza, prete, ma non ti seguo un granché.

- La difesa passiva ha dei limiti, non sempre può essere attuata. Per esempio, a corta distanza. Se il tuo avversario sferra un pugno, cosa fai?

Al Rosso sembrava di camminare in cerchio e tornare sempre sugli stessi passi. Si domandò quanto gli giovasse insistere con quegli insegnamenti. Se era sopravvissuto fino ad allora… - Lo paro? - provò.

- Impossibile. - Eusebio scosse la testa. - Non a corta distanza. Il pugno è più veloce dell’occhio. Hai qualche speranza se quello compie un movimento preliminare, una contrazione che lo tradisce mentre sposta il peso del corpo. Serve molta esperienza per coglierli, comunque. Ed è una soluzione pericolosa: se ti basi sulla vista per reagire, puoi cadere nella trappola delle finte. - Il pugno di Eusebio mirò allo stomaco. Uldrich raccolse le braccia per difendersi. Il gomito del chierico si piegò all’improvviso e lo raggiunse come una randellata al collo scoperto. - Chiaro?

- Chiaro… - biascicò Uldrich piegato sulle ginocchia. - E quindi?

- Quindi attacchi, e nell’attaccare ti difendi. Ogni tua parata dev’essere pronta a tramutarsi in un affondo, se non intercetta il colpo dell’avversario. E quando trova il varco, deve entrare dentro e colpire. Colpire e colpire, fino alla vittoria. Non indugiare mai, dammi retta, chiudi il combattimento appena puoi. Più esso si protrae, più rischi di essere ferito o, peggio, sconfitto. Nell’arena mi cimentavo in molte sfide al primo sangue o che non prevedevano morti.

- Ah sì? - Il Rosso si raddrizzò con un ghigno sardonico. - E io che credevo vi scannaste tutti i santi giorni.

Eusebio scosse la testa. - Con quello che costa addestrare un gladiatore, sarebbe folle macellarlo alla leggera. Erano esibizioni cruente e spettacolari, il pubblico aveva il suo sangue, ma senza morti a meno di incidenti. In quei casi la lotta doveva durare il tempo necessario a risarcire gli spettatori del denaro sborsato. Poi però c’erano i duelli all’ultimo sangue. E quelli, - gli occhi pallidi di Eusebio dardeggiarono, - era essenziale chiuderli il prima possibile.
     
Il Rosso ridacchiò con gli occhi bassi. Finse di voltargli le spalle con noncuranza, salvo aggredirlo con un pugno improvviso. Eusebio non era in guardia, nondimeno i suoi riflessi furono sufficienti a consentirgli la parata.

- Non avevi detto che era impossibile parare un pugno da vicino? - gli ringhiò Uldrich faccia a faccia.

- A meno di non cogliere un movimento preparatorio. - replicò il chierico serafico. - E io ho imparato a riconoscere le movenze della tua gamba zoppa.


                                                   (da La Stagione delle Ceneri - Trilogia dell'Estraneo (vol.2))