venerdì 23 giugno 2017

Il Crepuscolo - 2

"Rudger Rembrandt, Primo Generale di Saëgata, osservava sconcertato lo sfacelo del presidio di frontiera nel vallone sotto di sé. Alle sue spalle, la truppa mormorava. Era stato lui, allorché gli esploratori gli avevano riferito delle colonne di fumo che si levavano dal fondovalle, a ordinare che proseguissero tutti assieme in quella direzione invece di mandarli a indagare più da vicino. Il sole scompariva presto oltre le cime, là sulla Cordigliera, e Rudger non era entusiasta dell’idea di accamparsi senza avere dato personalmente un’occhiata. Secondo le guide e le mappe, quello era il più settentrionale fra i presidi che sorvegliavano i confini del Principato di Saëgata, stabilito a cavallo dell’angusto valico che fendeva la catena montuosa a metà fra i rami tributari del fiume Arrena. Avevano seguito la mulattiera fino alla cresta della balza affacciata sul vallone. Lì s’erano fermati, a contemplare il disastro.

Non era un semplice presidio distrutto, raso al suolo nella maggior parte degli edifici di pietra e fumigante in quel poco che ancora resisteva in piedi, lentamente consumato dalle ultime, pervicaci vampe dei roghi ancora caldi. C’erano cadaveri ovunque, sparsi per la valle incrostata di ghiaccio e lingue di neve vecchia. A quella distanza, nella luce debole del giorno morente, non era possibile distinguere le ferite, ma la disposizione caotica con cui erano accasciati palesava gli indizi della lotta. C’erano cadaveri ovunque e ce n’erano nella grossa buca scavata oltre il perimetro recintato del presidio, circondata da enormi mucchi di legna carbonizzata. All’inizio il Primo Generale pensò a una fossa comune che le pale avevano avuto modo di ricoprire solo in parte. Poi, studiando meglio il terreno malamente dissodato e i mucchi di terra e pietrisco gettati senza criterio ai suoi lati, si rese conto che la fossa era stata piuttosto riaperta. Stava domandandosi chi mai, per la grazia degli dèi, avesse avuto in animo di perpetrare una simile profanazione, quando l’esclamazione turbata di uno dei suoi esploratori lo spinse a volgere l’attenzione verso il centro del presidio, dove spiccavano le pareti annerite ma ancora intatte della caserma principale. Lo stendardo bianco-verde di Saëgata sbatteva flaccido su ciò che rimaneva della torre di guardia, schiaffeggiato dalle folate gelide che spiravano per la gola. Ai suoi piedi, immersi in una pozza di tenebra foderata di neve sporca, stavano dozzine di corpi accatastati.

L’esploratore che aveva esclamato studiava a bocca aperta la torre attraverso un cannocchiale foderato di cuoio. Rudger glielo strappò letteralmente di mano, in uno scatto di nervosismo. Puntò lo strumento alla base della fortificazione e subito l’irritazione defluì insieme al sangue dal suo cervello.

Non erano cataste di cadaveri. Erano cataste di pezzi di cadaveri. Pile di teste, cumuli di membra. Rudger scandagliò di nuovo il vallone e vide quello che la distanza sulle prime gli aveva negato: i corpi erano quasi tutti mutilati, privati di parti del corpo o ferocemente dilaniati. Tornò a esaminare la fossa scoperta. Laggiù i cadaveri erano nudi e oltremodo rinsecchiti, ma almeno erano ancora interi.

– Sangue di Volkos… – A imprecare fu il comandante dei Lupi Grigi che, rimediato anch’egli un cannocchiale, aveva appena terminato di contemplare il suo stesso spettacolo. – Che pandemonio è mai accaduto, mio sire?

Rudger abbassò il cannocchiale. Il cielo violetto dell’imbrunire proiettava la sua immane ombra a guisa di pietoso sudario sulla valle. La notte allungava le falangi di ghiaccio a carezzarli sullo sperone di roccia proteso sulla mattanza; là sulla Cordigliera, la primavera era poco più d’una illusione, una promessa ancora difficile da mantenere. Rudger rabbrividì sotto la corazza. Udì gli uomini borbottare agitati. Persino i Lupi Grigi, orgoglio e vanto di Kaisersburg, faticavano a nascondere l’inquietudine. Il Primo Generale non li biasimava, poiché ne condivideva il raccapriccio.

Poi emersero dalle ombre. Da soli o in piccoli gruppi. Forme nere partorite dal ventre devastato del presidio. Alcune strisciavano appesantite dal fardello dei propri corpi contorti, altre avanzavano spedite scivolando sulla sassaia cosparsa di morti. Nude o abbigliate di stracci. Parecchie indossavano ornamenti macabri strappati dalle carni stesse dei cadaveri.

Rudger si concesse un solo istante di puro ribrezzo. – Uomini! – abbaiò quello seguente snudando la spada. – Alle armi!"



domenica 4 giugno 2017

Il Crepuscolo

"Loïc Tissier congedò con un sorriso artefatto lo scrivano cui aveva appena dettato gli ultimi capoversi del rapporto sanitario da spedire a Saëgata. Il ghigno, cortese ma privo di allegria, permase come un crampo sul suo viso scavato anche quando l’attendente si fu chiuso la porta alle spalle, lasciandolo solo nella stanza modesta che costituiva la sua accomodazione privata in quel paesello sperduto alle falde delle montagne.

Si alzò in piedi, fece scorrere il chiavistello alla porta, tirò le tende davanti alle finestre. Agì con la calma metodica che gli era solita, senza fretta. Mise ordine fra le poche cose che attrezzavano il piccolo scrittoio ad angolo. Ne abbassò la saracinesca e si guardò allo specchio appeso di fronte. La superficie unta e la penombra addensavano la sfumatura delle occhiaie profonde. Sbottonò lentamente la camicia fino a scoprirsi il petto magro. Il sorriso contratto tremolò. La pelle pallida, sudaticcia nonostante il clima rigido della primavera pedemontana, era deturpata da piccole piaghe purulenti. Si annidavano a grappoli sotto le ascelle e fra i ciuffi di peli ferrigni che gli incoronavano i capezzoli. Erano circondate da un’aura cinerina dove la pelle tendeva a squamarsi scabbiosa. Era cominciato da un paio di giorni e procedeva come sempre a buon ritmo. Si toccò un angolo della bocca, dove la carne aveva iniziato a sfarinare. Aveva già individuato altri focolai nelle zone genitali e tra le dita dei piedi. Il bruciore che gli pizzicava la narice sinistra lo informava dell’ennesimo nucleo d’infezione attivo. Le labbra furono scosse da un tremito. Le incurvò in una smorfia aspra, come se avesse ingollato una pozione dal sapore pungente.

Reinserì uno a uno i bottoni della camicia nelle asole, sempre con lo stesso scrupolo quasi maniacale. Puoi travisare un sintomo, soleva dire il suo precettore di epidemiologia all’università di Saëgata, lo puoi trascurare… ma non puoi fingere di non averlo visto senza ingannare la tua onestà intellettuale. Ne aveva visitati troppi per illudersi. Ne aveva fatti rinchiudere a decine nel confino spietato della quarantena. L’incubo di quello che aveva visto e udito oltre i recinti di segregazione l’aveva privato del sonno delle ultime settimane. Disperazione, violenza e…

Deglutì a vuoto, deciso a non dragare il fossato putrido della memoria. Aveva udito voci di quarantene date alle fiamme nei pressi dei valichi occidentali. I soldati, morti, contagiati o più semplicemente fuggiti, non erano più in grado di tenere testa alla situazione. La pressione dei profughi che attraversavano la Cordigliera aumentava di giorno in giorno.

Sarebbero giunti presto alle stesse drastiche contromisure anche laggiù.

Aprì la cesta di vimini sotto la scrivania. Ne estrasse un foglio di pergamena arrotolato e assicurato da uno spago sigillato con la ceralacca. Lo posò con delicatezza sulla cima della saracinesca abbassata. La smorfia in cui s’era trasformato il ghigno iniziale era adesso stata sostituita da un sorriso rilassato, pregno di amarezza e solitudine. A parte la pergamena, il cesto conteneva un altro oggetto ripiegato sul fondo. Un rotolo di fune robusta, la cui estremità aveva annodato a cappio nelle ore più buie della notte. Ne accarezzò per qualche istante la sinuosità ruvida, prima di tirarlo fuori.

Pregò gli dèi affinché avessero misericordia di coloro che fossero stati chiamati ad arginare quella pazzia, intanto che faceva scorrere la fune sulla trave portante del soffitto."