mercoledì 29 marzo 2017

Al volgere del vento, dalla cenere e dal sangue, la terra resusciterà...

"Si destò molto lentamente, emergendo dal sonno con incredibile fatica. Si rizzò a sedere e sbatté le palpebre pesanti. Un brivido di freddo gli corse sulle braccia e sulla schiena e gli strappò un colpo di tosse. Afferrò i lembi della cappa per stringerseli al petto. Le orecchie gli ronzavano leggermente, la testa era come disancorata dalle spalle. Lo stomaco gli pesava e non la smetteva di trasmettergli sgradevoli ondate di nausea. Contemporaneamente un’insolita fame lo tormentava: si sentiva come se non mangiasse da una settimana. Deglutì, ma aveva la bocca secca e la gola irritata dal fumo.

Il fumo.

Chinò gli occhi sull’erba coperta di brina. La pipa giaceva capovolta tra i ciuffi: gli era caduta dalla bocca senza che se ne accorgesse, forse un attimo prima che perdesse coscienza. La afferrò tra l’indice e il pollice. La scosse facendo precipitare a terra i resti bruciacchiati del tabacco e grattò via con un dito i rimasugli più ostinati. Infine la ripose nel borsello. Alzò lo sguardo: il falò ormai spento fumava ancora nell’aria fredda, tre uomini in divisa sonnecchiavano acciambellati lì vicino, tutti imbacuccati. Non era l’unico a essersi addormentato senza volerlo, ma non capiva perché Mutio e Raphael se ne fossero andati senza svegliarlo.

Si tirò in piedi stentando a trovare l’equilibrio, era ancora indolenzito. Il campo dormiva avvolto dalle tenebre. Guardò verso levante strizzando gli occhi per cogliere qualche segno dell’alba ma tutto era buio. Malgrado ciò, percepiva che il giorno non era lontano. Aveva viaggiato e dormito abbastanza sotto le stelle per riconoscere la stasi carica di attesa che caratterizza l’ora più buia della notte, quella che precede il sorgere del sole. Tossì di nuovo, questa volta fu un colpo secco: la gola gli bruciò come se fosse stata trapassata da mille schegge. Scrutò con attenzione i confini dell’accampamento alla ricerca delle sentinelle. Non poté vederle ma immaginò che fossero presenti e vigili. Presto avrebbero suonato i corni per dare la sveglia alle truppe.

Raccolse da terra il cappello che gli era scivolato durante il sonno e se lo infilò in uno dei cinturoni incrociati sul petto. Si coprì la testa con il cappuccio della cappa e s’incamminò verso la tenda. Ancor prima di raggiungerla si accorse che Mutio sedeva solitario una ventina di metri fuori dall’ingresso, il capo e le spalle sotto la pesante coperta che di solito adoperava come giaciglio. Gli rivolgeva la schiena e puntava gli occhi a oriente, muto e immobile. Lothar gli si avvicinò senza fretta soffocando il terzo colpo di tosse. Simone udì i suoi passi, si voltò e lo guardò con gli occhi per nulla offuscati dal sonno.

– Che fai da solo fuori dalla tenda? – gli chiese Lothar, e la voce gli uscì roca dalla gola arsa. – Tra poco suoneranno la sveglia. Sarebbe meglio…

– Sssssh… – Mutio si mise l’indice sinistro davanti al naso. – Lo senti anche tu?

Lothar corrugò la fronte. Si accovacciò con il mantello ben stretto intorno al corpo. Il cuoio vecchio degli stivali scricchiolò sotto le cosce.

– Cosa?

Simone alzò la testa, chiuse gli occhi e dilatò le narici inspirando profondamente. Una traccia d’estasi gli affiorò sul volto.

– Il vento, – mormorò senza guardare, – ha cambiato direzione. Non è più freddo e tagliente come prima. Comincia a profumare. È arrivata la primavera.

Lothar puntò lo sguardo verso l’orizzonte buio. Folate blande e intermittenti spazzavano l’erba ingemmata di brina.

– Io sento solo l’odore del freddo – disse osservando con la coda dell’occhio l’orlo sfilacciato del suo cappuccio mosso dal vento. – L’inverno è alle spalle ma la primavera non può spodestarlo da un giorno all’altro. Ci vorrà del tempo prima di vedere i fiori sbucare dalla crosta della terra. Se davvero potremo vederli… Queste contrade mostrano i segni di ferite profonde. Puzzano di morte, non certo di fiori.

Mutio respirò una seconda boccata d’aria. Poi riaprì gli occhi e lo fissò.

– Resusciterà – ribatté con convinzione. – Come dici tu, ci vorrà del tempo. Ma prima o poi, quando i suoi carnefici saranno cenere buona per concimarla, allora resusciterà. Credo che la terra abbia la scorza dura. Noi passiamo, ma le montagne e i fiumi restano. Resusciterà.

– Forse hai ragione.

– Anche se piagata dalla guerra, non può non reagire all’arrivo della primavera. Io sento che l’odore nell’aria sta cambiando.

Lothar e Mutio si guardarono negli occhi per qualche istante. Poi Lothar gli sedette vicino. Sapeva, sentiva che l’Alteano aveva qualcos’altro da dire che non riguardava il cambio di stagione: ricordava la strana distanza della sera precedente. Attese che si esprimesse, ben sapendo che in quei frangenti ogni esortazione è inutile. Dopo un paio di minuti Simone si decise a parlare.

– Mio figlio dovrebbe nascere le prime settimane di primavera – mormorò senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte. – Mi chiedo se i suoi occhi si siano già aperti. E, se sì, dove si trovino ora lui ed Helena.

Lothar ascoltò senza intervenire. Simone stava tastando con cautela il proprio dolore, lui sarebbe stato testimone della sua intima sofferenza, l’avrebbe aiutato a sentirne il gusto agro. L’abitudine a soffrire non lenisce la pena, ma la consapevolezza del proprio dolore è un dono indispensabile, benché sgradito, per poterci convivere.

– Sai quale sarà il suo nome? Quale sarà oppure qual è, se è già venuto al mondo?

Quella precisazione fece sorgere una ruga di amarezza sulla fronte di Mutio.

– Se sarà una bambina, Eva. Lo ha scelto Helena. Ma se nascerà maschio, – il suo tono si addolcì e si arricchì di una nota d’orgoglio, – si chiamerà Mikael. E questa è una scelta mia.

– Mikael non è un nome Alteano – constatò Lothar stupito.

– No, certo che no. Ma mio figlio non nascerà in Altea. Mikael è un nome che mi è sempre piaciuto. Quando vivevo ad Amor e conoscevo tanti pellegrini che venivano dai Principati oltre la Cordigliera, i loro nomi mi suonavano esotici, alcuni li trovavo addirittura bislacchi. Nomi che ancora adesso fatico a pronunciare. Ma Mikael mi è sempre piaciuto. Mio figlio nascerà nel Principato di Lum. Se sarà maschio si chiamerà Mikael, se sarà femmina Eva. Alle volte non è facile vivere da forestiero, in una terra che non è la tua. Anche quando non si è davvero forestieri. Capisci cosa intendo? Mio figlio nascerà nei Principati, con un nome adeguato. Non mi piace l’idea di saperlo trattato con diffidenza e intolleranza dai suoi compaesani per colpa di un nome straniero.

– Capisco cosa vuoi dire. La gente sa essere razzista e sospettosa. Noi stessi a volte ci comportiamo così, senza rendercene conto. O forse, in fondo al cuore, sì.

Mutio incassò la testa tra le spalle e tirò le mani fuori dalla coperta. Lothar vide che teneva stretto tra le dita un fazzoletto. Simone lo svolse su un ginocchio. Sul tessuto, liso e ingiallito, era ricamato un disegno ben riconoscibile nonostante un paio di buchi e molte macchie: era un boccale da birra dal quale spuntavano dei dadi e quattro carte da gioco aperte a ventaglio.

– Lo stemma del Boccale del Gioco – disse Lothar.

– Il Boccale del Gioco. – Mutio pronunciò adagio il nome del suo locale. – Sono passati quasi quattro mesi da quando ho detto addio a Helena, a Holser. Quattro mesi. Mi domando ogni giorno dove sia. Al monastero di Fenice, mi rispondo. I sacerdoti l’assistono nella preparazione al parto oppure si congratulano con lei per lo splendido bimbo che ha messo alla luce. Probabilmente. Ma come posso esserne sicuro? Posso attraversare l’oceano a piedi per andare a sincerarmene, per fugare le mie ansie? Serbo come una reliquia il pensiero di lei e di nostro figlio, lo custodisco nel profondo del cuore. Ma è un pensiero che alle volte mi strugge. – Si portò una mano al viso. Osservò per alcuni istanti le rughe che gli solcavano il palmo. Poi, con un gesto lento e sofferto, sollevò la mano e se la passò sui capelli. La chioma castana gli ricadeva sulle spalle tutta arruffata. – Ho promesso a mia moglie che sarei tornato per farmi fare una nuova treccia da lei. I capelli sono ricresciuti. Forse troppo in fretta.

– È quindi giunto il momento dei rimpianti? – chiese Lothar.

– No – rispose Mutio scuotendo la testa. – No. C’è qualcosa in fondo alla mia coscienza che continua a ripetermi che ho compiuto la scelta giusta. È stata ed è ancora una scelta molto dolorosa, lo sarà sempre. Ma non tutte le scelte giuste sono piacevoli. Qualcosa mi dice che è così. Forse è la voce del Destino. Il fato mi ha voluto qui, al tuo fianco.

Lothar tacque. Rifletté sulle ultime parole.

Il Destino, pensò.

– Torneremo? – domandò Mutio bruscamente.

– Non posso saperlo.

– Tu credi che torneremo?

– Forse lo chiedi alla persona sbagliata. Forse dovresti chiedere a Mighal di interrogare il suo diletto Destino.

Mutio fece un sorriso rilassato.

– Ho idea che la cosa non funzioni proprio così.

– Anche io – aggiunse Lothar sorridendo a sua volta."



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