venerdì 22 luglio 2016

Vele corrotte al corrotto vento...

Galèria studiò con scrupolo il piglio di Axel accosciato sulle gambe magre e pelose.

“Ti senti davvero pronto?” gli domandò in tono gentile.

Axel assentì con il capo.

Galèria esitò ancora un attimo nell’incrociare i suoi occhi schietti sotto l’arco folto delle sopracciglia aggricciate. Non dubitava dell’onestà del suo discepolo. Axel aveva un modo così trasparente di far trapelare le proprie emozioni che non sarebbe riuscito a mentirle neppure volendo. I dubbi li nutriva piuttosto nei confronti di se stessa, della bontà del giudizio che l’aveva indotta a chiedergli di provare. Ormai era deciso, l’incertezza avrebbe soltanto complicato le cose.

“Cominciamo.” disse.

Axel spezzò in due la radice bulbosa e se la ficcò in bocca. Iniziò a masticarla rumorosamente. Galèria posò sull’erba la grossa ciotola ricolma d’acqua; una rozza ragnatela di rune era incisa sulla terracotta. La Maestra fece un cenno a Moonz che scivolò alle spalle di Axel e gli posò le mani grifagne sulla testa. Come la proprietà narcotica della radice trattata iniziò a fare effetto, le palpebre si rammollirono sugli occhi di Axel: non calarono del tutto, ma si fermarono a mezz’asta, scosse da un fremito costante. Galèria salmodiò i versi rituali e toccò il pelo dell’acqua con la punta delle dita. Arretrò di un passo, senza smettere di mormorare. Axel divaricò le dita e sospese le palme sulla ciotola. Anche lui salmodiava adesso, sebbene la barba nascondesse il movimento delle labbra; sputava pezzetti di radice dalla bocca piena che finivano intrappolati fra le ciocche aggrovigliate. Solo Moonz restava in silenzio. Gli occhi del mezz’orchetto erano due fessure oblique; lentamente, un bagliore spettrale prese a emanare da essi, azzurrino quanto il cielo del primo mattino.

Axel curvò le spalle in avanti, finché il riflesso del sole sull’acqua non fu sostituito da quello del suo volto distorto. Sottili increspature continuavano a perturbare la superficie liquida: svanivano e si riformavano al ritmo del salmo sussurrato, prodotte da una misteriosa forza magnetica. Ben presto il lucore degli occhi di Moonz si trasferì allo spazio fra le mani di Axel e quelle minuscole onde. Un riflesso cremisi si fuse all’azzurro, generando un alone violetto. I glifi arcani incisi sulla terracotta palpitarono come braci attizzate. Galèria osservò il fenomeno e fremette in apprensione.

“Ora,” bisbigliò, “apri la tua mente.”

Axel emise un suono strozzato, come se qualcosa gli si fosse incastrato in gola. Durò un attimo, il tempo di riprendere la litania. Le sue spalle si afflosciarono, il mento gli ricadde sul petto. Le sole palpebre socchiuse continuavano a vibrare ad alta frequenza mentre lui scrutava l’acqua nella ciotola avvolta di vampe fatue e, attraverso di essa, oltre i veli del tempo e dello spazio.

Galèria strinse forte in pugno una pietra smussata con una singola runa scolpita nel mezzo. Provò a sintonizzarsi sul canale aperto dal suo discepolo ma invano. Aveva proposto ad Axel di farsi tramite del Potere incontaminato messo a disposizione da Moonz per tentare là dove lei stessa aveva fallito: stabilire un contatto con i Fratelli della Luce oltreoceano. Nonostante il controllo rudimentale e spesso istintivo che aveva delle proprie facoltà, Galèria nutriva enorme considerazione delle doti mistiche di Axel. Sperava che le sue risorse latenti, alimentate da Moonz e regolate dal proprio intervento esterno, potessero lacerare il sudario d’ombra teso a occidente e raggiungere Mighal. Purtroppo però la pietra restava fredda nella sua mano e ogni suo tentativo d’innestarsi nel flusso generato veniva frustrato da un’oscura interferenza di sottofondo.

Unghialunga seguì il rituale raggomitolato. Il suo pelo screziato era ritto e traversato dalle onde empatiche che condivideva con Moonz. Il gatto selvatico era il famiglio del mezz’orchetto: lo aiutava a stabilizzare il flusso di Potere compensando, tramite un’intima simbiosi, la sua inclinazione a manipolarlo in funzione dell’istinto. Altri animali fecero capolino dagli anfratti della foresta, attirati dalla luce. Assistettero al salmodiare di Galèria e all’esercizio curioso dei suoi adepti.

Fino all’urlo che li fece ritirare impauriti.

Galèria gettò via la pietra d’un tratto rovente.

Sono stata una sciocca imprudente! si rimproverò con un groppo alla gola, pronta a vedere Axel stramazzato al suolo.

Era stato invece Moonz a gridare. Col capo rovesciato all’indietro e le fauci zannute ancora spalancate, il mezz’orchetto aveva strattonato la lunga chioma di Axel. Un passo indietro, e la creatura si staccò dal compagno portandosi dietro una manciata di capelli incrostati. Galèria si precipitò su Axel piena di sgomento. Il contatto era stato spezzato, non c’era un attimo da perdere! Lo afferrò per un braccio e lo scosse con vigore. Con sua somma sorpresa, Axel fece resistenza: si liberò con uno strattone e digrignò i denti senza sollevare le palpebre contratte. Moonz arretrò barcollando finché s’accasciò seduto sull’erba.

“Axel, interrompi! Per l’amore di Dio.”

“N-n-no!”

Lo sforzo che fece per risponderle senza uscire dal regime di parziale catalessi lasciò Galèria senza parole. Lo vide curvare le dita nella forma di artigli artritici nel tentativo di mantenere il controllo sul bagliore rosso e blu che si torceva sibilando sulle increspature dell’acqua. Axel si era fatto tramite dell’energia di Moonz, il Potere di un Kazhum A Teara. Persino il Venerabile Mighal era stato solito diffidare della procedura che rendeva un semplice umano, per quanto addestrato nell’arte, vettore del Potere più puro. Galèria aveva studiato per anni il fenomeno ed era giunta alla conclusione che, sottoposta a vincoli stringenti, la pratica era realizzabile. Rammentava decine di occasioni in cui lei e il suo vecchio Maestro avevano dissertato anche animatamente sui rischi correlati alla sua attuazione. Ma ora Axel aveva interrotto il legame diretto con il serbatoio energetico. Si torceva squassato da un parossismo di spasmi interiori, nello sforzo di dominare autonomamente quell’energia raffinata.

Santo Dio, no! Finirà per ucciderti!

Galèria fece di nuovo per strapparlo alla catalessi ma qualcosa la fermò. Fu la sensazione dell’occhio chiaroveggente di Axel che s’acuiva oltre i limiti umani, irrorato dal Potere di Moonz. Lo sentì bucare come uno strale la tetra, impalpabile foschia che permeava l’aria.

Un borbottio liquido. La ciotola esalò i vapori dell’acqua in ebollizione.

Axel spalancò le palpebre sulle sclere iniettate di sangue; le iridi erano scomparse nell’incavo delle orbite.

Galèria non poté più indugiare. Capovolse la ciotola con un calcio, spedendo l’acqua a ribollire nell’erba. Axel fu scosso da uno spasmo violento. Rigurgitò il bolo nero della radice semi-masticata. La Maestra lo afferrò per le spalle che tremavano senza controllo.

“Axel, per l’amor di Dio! Axel!”

Galèria si cavò frettolosamente di tasca una fiaschetta di legno. Fece saltare il turacciolo con l’unghia del pollice e costrinse Axel a trangugiarne il contenuto.

Lentamente, i suoi occhi tornarono a raddrizzarsi. Una pellicola di sudore viscoso gli ricopriva ogni palmo della pelle bollente. Tremava come in preda alla febbre e un rivolo di sangue gli colava dal naso. “Ma-ma-estra…” balbettò.

“Axel, calmati, è tutto finito,” Galèria lo abbracciò con un singhiozzo, “tutto finito. Perdonami, sono stata un’incosciente a chiederti di provare.”

“Ma-e-stra… ho ve-duto…”

“Taci, per carità. Non devi sforzarti ancora.”

Axel scosse piano la testa e lottò per articolare le parole: “Un va-scello… solca il mare so-li-tario…” Deglutì con una smorfia aspra. Quando riprese a parlare la sua voce era più fluida, benché al limite dell’udibile. “Viaggia alla deriva… le vele strappate, lo scafo scrostato… un vessillo nero privo d’emblema sventola sull’albero maestro… S’incaglia sulla riva… e nessun equipaggio sbarca… ma un’ombra… un’ombra…” s’interruppe con un rantolo.

“Axel!” Galèria pensò che non ce l’avrebbe fatta a continuare. Moonz barcollò al loro fianco. Unghialunga lo fissava con gli occhi verdi e gialli sbarrati, le pupille ridotte a due fessure verticali. Il mezz’orchetto cadde in ginocchio, la testa penzoloni.

“Un’ombra di morte…” Axel sembrò radunare le forze residue per proseguire. “Si stende dalla nave… sommerge la costa… sommerge alberi e montagne… fiumi e villaggi… città… Precipita verso di me… ho paura, non posso muovermi… Poi odo una voce… mi chiama, mi chiama… ma io non posso vedere… cieco di tenebra e di… smarrimento…”

“Conosci quella voce?”

Axel scosse impercettibilmente la testa. “No… eppure mi chiama e io… io…” le parole s’impigliarono nella lingua, “…io non posso decidere di non andare… mi trascina verso l’oscurità che ricopre il… cielo… Il sole si spegne… la luce muore… e poi…” i suoi occhi maculati di capillari esplosi si riempirono dell’immagine della visione testimoniata.

“E poi?”

“Poi… poi…” le labbra di Axel cominciarono a tremare, lacrime dense gli rigarono le guance barbute. “Poi il nulla…”

“Che vuol dire il nulla?” Galèria sentì un vuoto gelido farsi strada nel suo stomaco.

“Il nulla.” Adesso Axel piangeva e tremava rannicchiato come un bambino. “Solo un unico immenso crepuscolo perdurante…”


Galèria lo strinse a sé e nascose nella sua spalla il proprio volto affrescato dal terrore.



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